di Julie Kogler

Che l’arte di Antonio Canova (Possagno 1757 - Venezia 1822) sia inconcepibile senza considerare il suo stretto legame con la città di Roma, è altrettanto impossibile pensare alla Roma sotto i rivolgimenti storici a cavallo tra Settecento e Ottocento senza la ?gura importante dell’artista di origini venete nel sostentamento della sua posizione di capitale dell’arte. Questo fondamentale binomio tra l’Urbe e l’artista neoclassico è illuminato dalla mostra “Canova. Eterna Bellezza” allestita a Palazzo Braschi, dal 9 ottobre 2019. Per la prima volta una mostra a Roma raccoglie opere di Canova scultore, pittore e incisore soffermandosi sulle varie tappe della sua ricca produzione artistica e nel contempo rivedendo il ruolo di spicco che l’artista ha giocato nella gestione dei beni culturali e nella salvaguardia del patrimonio artistico italico. Con il suo arrivo nell’Urbe nel 1779 Canova apre un dialogo profondo con il mondo classico, che l’artista non intendeva imitare ma dal quale voleva prendere ispirazione (voleva “mandarsi l’Antico nel sangue”) per creare opere moderne degne della bellezza eterna del passato. La presenza di Canova a Roma determina senza dubbio una cesura nell’ambito artistico e coincide con la scoperta di Ercolano e Pompei (rispettivamente nel 1738 e nel 1748), con la riesumazione e divulgazione dei monumenti delle terme, con le incisioni del Piranesi e le numerose illustrazioni dei monumenti antichi, e non in ultimo con i frequenti viaggi in Italia di studiosi inglesi e tedeschi. Il Monumento sepolcrale di Clemente XIV per la Chiesa dei SS. Apostoli a Roma, con cui il Canova non ancora trentenne riscuote un grande successo, diventa il paradigma del genere neoclassico e costituisce lo spartiacque fra due epoche, tanto che il temuto critico coevo Francesco Milizia ne elogia il “riposo” e l’”eleganza” nel segno di quella semplicità, seguendo lo stesso pensiero dello storico dell’arte e archeologo Johann Winckelmann (Stendal 1717 - Trieste 1768) che proclamava la “nobile semplicità” e la “quieta grandezza” come essenza del neoclassicismo. Al Museo di Roma si possono osservare le sculture e i disegni raf?nati che hanno portato alla realizzazione del Monumento funebre in cui la ?gura di Clemente XIV incarna già il nuovo stile tragico, cui è dedicato tutta una sezione della mostra. Un’altra mette in scena il marmo della Maddalena penitente, accovacciata e con la camiciola leggermente calata che fa intravedere le morbide forme, mentre tiene in mano un croci?sso di bronzo. L’espressione di natura patetica della Maddalena si distingue dal bello ideale, mostrando un’ambiguità tra la fervida religiosità e la passione per il nudo, movendosi sulla sottile linea tra il sacro e il profano. All’artista riesce con maestria la simulazione dei materiali, la pelle carnosa, la stoffa vellutata, la pietra ruvida e il volto rigato dalle lacrime, tanto da emozionare l’osservatore che può guardare anche la schiena della Maddalena nello specchio posizionato dietro le sue spalle. Un’ulteriore momento di stupore consiste nel ”Teorema perfetto: Antico e Moderno a confronto” dove il marmo canoviano dell’Amorino alato proveniente dall’Ermitage di San Pietroburgo è posto davanti al marmo antico Eros Farnese del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Ma l’emblema di questo ambizioso confronto tra Moderno e Antico è il salone del conte Alessandro Papafava a Padova dove venivano collocate quattro statue che si richiamano a coppie: l’Apollo del Belvedere di contro al canoviano Perseo Trionfante e il Gladiatore Borghese di contro al Pugilatore Creugante di Canova. E’ nel 
gesso che tali paragoni potevano venire visualizzati e Canova faceva ricavare i quattro gessi dai marmi antichi così come dalle proprie statue per questa creazione tra le più originali dell’età neoclassica, riportata nella mostra. Dopo una focalizzazione sull’importante legame tra Canova e l’Accademia di San Luca, la quale ha apportato in modo signi?cativo all’allestimento di questa mostra, si accendono i fari sull’attività di Canova quale Ispettore delle Belle Arti, conferitagli nel 1802. E papa Pio VII attribuisce pieni poteri a Canova che deve impedire l’esportazione di importanti opere all’estero attraverso trattative e servendosi di sapienti strategie nello scacchiere europeo, non in ultimo acquistando lui medesimo alcune opere messe in vendita per donarle ai Musei Vaticani. Tuttavia, non mancano delusioni durante il suo incarico, quando deve cedere al volere dell’imperatore d’Austria Francesco e del cognato Ludovico I di Baviera  acconsentendo all’esportazione del Fauno Barberini, richiamato in mostra da un antico gesso proveniente dall’Accademia di Bologna. Il 1809 si presenta come anno dif?cile quando Roma viene annessa all’impero napoleonico e Pio VII costretto all’esilio. Ciononostante, Canova rimane il perno della tutela e gestione culturale anche sotto il nuovo regime, e all’Accademia di San Luca viene nominato principe nel 1810 e principe perpetuo nel 1814, anno in cui il papa torna a Roma incaricando Canova di recuperare le opere d’arte sottratte dai francesi alla ?ne del Settecento. Di queste opere recuperate, in mostra si può ammirare il gruppo antico Amore e Psiche stanti, oggetto di particolare interesse per gli artisti della ?ne del Settecento, e che Canova riesce a rielaborare in chiave spirituale.  Il visitatore si ritroverà dinnanzi ad un’ulteriore elaborazione della ricercata favola greca nel cortile di Palazzo Braschi: questa versione di Amore e Psiche giacente di Antonio Canova appare essere la più contemporanea riproduzione in scala reale dell’originale. Partendo da una scansione 3D del gesso preparatorio della scultura esposta al Louvre di Parigi, un robot di Magister (un brand del gruppo Cose Belle d’Italia) ha scolpito un blocco di marmo bianco di Carrara di 10 tonnellate. Il risultato è una scultura di rara bellezza ai tempi della riproducibilità che rispetta la fragilità delle opere antiche consentendo l’ampia fruizione da parte del pubblico. Nel frattempo, Canova prende l’iniziativa mediante disegni e calchi per realizzare la colossale statua della Religione per omaggiare Pio VII, destinata ad essere collocata nella basilica di San Pietro ma poi dirottata al grandioso Tempio di Possagno, suo luogo natale. Invece, del Monumento agli ultimi Stuart, innalzato in San Pietro, in mostra si possono vedere tutti i lavori preparatori, il modello in gesso e una rappresentazione del gruppo scultoreo nella sua esaltante versione ?nale.  Nondimeno, l’artista intratteneva un animato studio bottega a via delle Colonnette a Roma e commissionava numerosi busti a scultori illustri per l’ambizioso progetto che doveva trasformare il Pantheon da chiesa dedicata a Santa Maria ad Martyres in tempio laico dedicato agli artisti. La sua of?cina produceva innumerevoli bozzetti in terracotta, gessi, modelli di grande formato, marmi o calchi in gesso di sculture già ultimate, diventando una tappa indispensabile per artisti, aristocratici e viaggiatori del gran tour. Nella sezione dedicata allo studio di Canova sono esposte due gessi dell’Endimione dormiente: il primo munito di punti metallici funzionali per la traduzione in marmo, il secondo è un calco ricavato dal marmo, per illustrare le differenze tra modello e calco. Un momento di inattesa rilettura delle opere di Canova è offerto dalle 30 fotogra?e di Mimmo Jodice che ritraggono le sue sculture da angolazioni innovative e sorprendenti, catturandole con lo sguardo sensibile e sensuale di un grande fotografo contemporaneo. L’ultima impressione della mostra di Canova che accompagnerà il visitatore è il marmo della Danzatrice con le mani sui ?anchi del Museo dell’Ermitage, che gira sul suo piedistallo come l’Amorino alato. Secondo Canova, l’osservatore non doveva girare intorno alle sue statue ma dovevano essere le stesse statue a girare intorno all’osservatore, 
installando tutte le sue opere su basi girevoli poiché prendessero vita rivoluzionando il concetto del neoclassicismo freddo. Con la sua Danzatrice a Canova riesce un altro colpo di genio: eguagliare la perfezione degli antichi rendendo nel marmo la bellezza leggiadra di un passo di danza. Come avrebbe costatato Goethe durante il suo viaggio in Italia alla visione delle sculture di Canova: “Né l’occhio, né la mente bastano ad abbracciarle per intero …, la forma plastica non rappresenta la natura, la sublima ..” Un elogio che sintetizza l’eccellenza di Canova di far rivivere l’Antico nelle sue sculture, e di plasmare il Moderno con il ?ltro dell’Antico per renderlo eterno. 



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